sabato 11 ottobre 2014

Quando il Sé interiore comincia ad emergere dalle tenebre, è una presenza costante, salda, forte. C’erano alcuni momenti della giornata in cui la percepivo maggiormente, non necessariamente in meditazione. L’imperturbabilità del Sé scorreva come in un binario parallelo rispetto agli inevitabili movimenti della mente ordinaria. Quest’ultimi mi apparivano sempre di più futili, illusori, ingannevoli, confusionari e non corrispondenti all’autenticità del mio vero essere. Non potevo esprimere a parole questa speciale saldezza, questo sentimento profondo, la sensazione che in qualche misterioso modo Dio risiedesse in me.
Vivevo le cose del mondo ma la mia coscienza era stabilita su un altro piano. Vivevo comunque le vicende, le persone, le cose, la mia stessa personalità soggettiva con la sufficiente intensità, anzi forse con maggiore intensità di prima. Ma le mie radici erano proprio altrove, perché era proprio cambiato il punto di vista: un’osservazione dall’alto, dalla prospettiva della morte che guarda l’impermanenza della vita. Avvertivo maggiori forze spirituali che resistevano alla pressione del mondo esterno, facendomi sentire al riparo all’interno di una solida fortezza interiore.
“Il guru interiore comincerà a parlare”: questo prima era un concetto astratto, che aveva quasi del fantastico, ma che a distanza di anni si è trasformato in una realtà vivente. Avevo cioè conosciuto per esperienza personale, toccandolo proprio con mano, una presenza interiore che mi rivelava intuizioni e insegnamenti in un parlare che non era sotto forma di parole e concetti ordinari, bensì sensazioni, vibrazioni. Questo veniva da una misteriosa regione in un punto che percepivo dentro il torace, a differenza invece dei pensieri ordinari che hanno sede nel cervello. Era come se dentro di me fosse contenuto un enorme e infinito libro che parlava della vita. Sentivo di aver perso la mia individualità per conseguirne una più grande, fusa con la coscienza universale. Che differenza poteva esserci tra “samsara” e “nirvana”? Erano meri concetti. “Quello” stato trascendeva ogni concetto, ogni ragionamento: era realtà vivente. Dio è il centro dell’uomo e va ritrovato nel proprio cuore, tramite un’intuizione diretta. Ciò che i mistici e i grandi maestri di tutti i tempi cercarono di esprimere attraverso le limitate parole umane era un’esperienza incomunicabile, personale.
Come erano fitti i veli che ricoprivano l’inconscio! Il mio vero essere usava il cervello per manifestarsi, ma non corrispondeva al cervello. Il mondo attorno a me si era dissolto, rivelato nella sua illusorietà, eppure sempre lì presente, come le immagini oniriche. Mi ero destata per non dormire più. Mi sembrava di essere diventata come uno specchio in cui si rifletteva l’universale. Non esisteva né fuori, né dentro, solo una grande e misteriosa realtà: l’inesplicabile esistenza di Dio nel Sé. Ero tornata come bambina, così immersa nell’universo interiore scoprendo i più profondi segreti dell’universo esteriore. La mia coscienza comprendeva il tutto, in un universo vibrante, pulsante di vita, di energia, movimento, in cui ogni cosa è in relazione con le altre. “Sono una manifestazione dell’universo. La vera essenza dell’Assoluto”.
Nel momento in cui i miei pensieri cessavano di andare in tutte le direzioni, ho potuto trovare la verità. Il cuore dell’universo si trovava proprio al centro del mio essere. Non avrei dovuto andare troppo lontano!
Dinanzi alla mia coscienza si manifestavano verità incomunicabili. Intuivo il senso di tutto, i misteri della vita, mi sentivo proiettata in una dimensione senza tempo e senza spazio. Ma non c’era modo di tradurre queste conoscenze in concetti e parole. Silenzio, solo silenzio!



mercoledì 3 settembre 2014

La’ dove il KRIYA e il RAJA YOGA si incontrano

Il profondo silenzio indotto dalle pratiche spirituali in concentrazione e meditazione, là dove vive il centro interiore non corrotto da nulla, si incontra con il flusso ascendente dentro la spina dorsale. Con il procedere della pratica ho sperimentato un potenziamento delle tecniche di concentrazione: la forza pensiero ha incontrato le pure e sottili forze eteriche e ciò ha determinato un approfondimento della coscienza. In alcuni momenti di pratica ho avuto la percezione di sprofondare nei recessi più insondabili della mia coscienza. Ho scoperto che la coscienza ha innumerevoli strati che ricoprono e ottundono il centro che per sua natura sarebbe staccato e indipendente da tutto. Giungere nelle profondità non è affatto semplice perché quei strati sono come scorze dure e difficili da scalfire e, pur nonostante l’assidua pratica, si potrebbero creare pseudo-centri che si pensa siano autentici ma che in realtà sono riflessi che traggono origine dalla mente-cervello anziché dall’essenza autentica del proprio essere. Si può praticare per anni e rimanere pur tuttavia confinati in uno strato intermedio, finchè ad un certo punto accade “qualcosa” e si compie un “salto”, come se una forza trascendente eppure intima afferrasse la coscienza portandola su un altro strato, e tutto questo in piena lucidità e presenza. E così si riposa nelle profondità di sé stessi e si continua a scavare. Ma ad un certo punto ho realizzato che, nel momento in cui l’individuale incontra l’universale, la coscienza entra nell’Infinito, pertanto l’esplorazione interiore probabilmente non avrebbe mai fine…

giovedì 24 luglio 2014

Tanti ricercatori spirituali commettono l’errore di inseguire ciò che essi non sono, e in questo modo non possono conoscere la loro vera natura: vogliono diventare qualcos’altro, conformandosi ad un modello pre-confezionato, anziché semplicemente essere. Alcuni ricercatori si pongono ulteriori maschere ed “ego spirituali” che vanno ancora di più ad ottenebrare la realtà del loro essere. Ma la costante pratica dell’osservazione attenta e sincera permette di scavare progressivamente ed inesorabilmente, fino a trovare la radice della vera consapevolezza. Ma per fare questo il cammino è stato arduo, sono scesa fino ai meandri oscuri dell’inconscio e ho provato ad illuminarli progressivamente con la luce di una consapevolezza svincolata dalla mente stessa (un “mercurio rettificato”).  Osservazione cosciente, attenta presenza, consapevolezza, un esercizio portato avanti per anni ed anni. Ad un certo punto, semplicemente, mi sono fermata e ho guardato dentro: mi sono risvegliata. Il mondo si è fermato, frantumato: tutti i piccoli momenti di illuminazione che avevo sperimentato nel corso del mio cammino si sono fusi in un attimo eterno di estrema e semplice chiarezza. In semplicità si è rivelata la suprema verità dell’”Io sono, per sempre”.

giovedì 8 maggio 2014

Sono diventata una piattaforma dove la vita esterna scorre, distinta dalla mia interiorità che si colloca su un altro piano e trae le sue origini da un luogo così lontano. E’ una coscienza infinita, che non finisce mai di rivelare tesori e sorprese. Non finirò mai di scavare, perché scavare dentro me stessa è come scavare nell’infinito universo. Comprendo le parole di Yogananda quando scriveva riguardo all’infinità di Dio sperimentata nella sua coscienza in stati meditativi profondi.
Il pensiero è tempo. Il pensiero nasce dalle esperienze e dalle conoscenze, che sono inseparabili dal tempo. Il tempo è il nemico psicologico dell'uomo. Il nostro agire si basa sul conosciuto e quindi sul tempo, e così l'uomo è continuamente schiavo del passato. Diventando consapevoli del movimento della coscienza, possiamo osservare la divisione tra il pensatore e il pensiero, tra osservatore e osservato, tra il soggetto dell'esperienza e l'esperienza. Scopriremo che questa divisione è illusoria. Allora rimane la pura osservazione, che è intuizione senza residuo del passato. L'intuizione priva di tempo induce un profondo e radicale cambiamento nella mente. La negazione totale è l'essenza della positività. Dove c'è negazione di tutto ciò che non è amore (cioè desiderio e piacere), allora c'è amore, con la sua compassione e intelligenza".

Jiddu Krishnamurti (Londra, 21 ottobre 1980)

lunedì 9 dicembre 2013

L'OSSERVAZIONE SILENZIOSA DEI PENSIERI: IL TESTIMONE SILENZIOSO, VEGGENTE, IL SE’ . 
Aspetti occulti della concentrazione

In definitiva in tutte le tradizioni esoteriche le tecniche di meditazione hanno come intento comune la formazione di un centro osservatore silenzioso, distanziato dai contenuti mentali. Questo centro osservatore ha per sua essenza una natura diversa dalla mente ordinaria, di per sé la trascende. Negli esercizi meditativi antroposofici, descritti da Steiner e in seguito, in maniera più dettagliata, da Massimo Scaligero, l’esercizio di concentrazione sul simbolo richiama la forza originaria del pensiero per poi liberarlo dall’influenza dei sensi. In seguito all’esercizio di concentrazione, l’oggetto-simbolo viene eliminato per lasciare spazio al silenzio interiore, parte fondamentale ed essenziale dell’intera pratica. Ma è nel prezioso esercizio della “retrospezione serale” descritto da Steiner(esercizio di matrice pitagorica, cfr “I Versi Aurei”) che verrà enucleato in maniera sistematica l’osservatore: il praticante passa in rassegna  tutti gli eventi della giornata trascorsa, come se fossero stati vissuti da un’altra persona. In questo modo si comincia ad attivare proprio l’enucleazione di un principio osservatore, che si distanzierà progressivamente da contenuti mentali che consistono in cristallizzazioni comprendenti non solo pensieri bensì emozioni ed istinti, spesso in un caotico marasma. L’osservazione distaccata di tali contenuti porterà il praticante in contatto con il proprio Sé profondo.
Il concetto dell’osservatore-testimone silenzioso ritorna ampiamente nella pratica alchemica che Giammaria indica come fondamentale “officium quotidiano” da svolgere in ogni momento della propria esistenza: il praticante innanzitutto individuerà ed enucleerà un principio cosciente extrapersonale, definito “Nume” e, a tal scopo, gli assegnerà un nome per dargli una definizione ed identificazione. A questo punto, tramite un lavoro costante, il centro di gravità dell’individuo si sposterà progressivamente nel Nume, che per sua definizione è caratterizzato da una natura impersonale eppure contenuta nel personale; esso è principio altro e distinto rispetto alla mente, la quale è ordinariamente espressione dell’identità biografica individuale. Il Nume si ergerà progressivamente come testimone silenzioso, distaccato dagli eventi che riguardano la personalità ordinaria, eppure sempre silenziosamente presente e partecipante alla vita. Inizialmente il centro interiore noumenico non sarà saldo e non riuscirà ad essere costantemente presente, ma attraverso l’esercizio e la pratica costante, che verrà estesa ad ogni momento della giornata, questa centralità osservatrice si rafforzerà sempre di più; in certi momenti occorrerà richiamarla intenzionalmente in modo che sia il più possibile presente durante le attività quotidiane, ma in seguito essa diventerà presenza costante.
La quarta via di Gurdjieff si basa su presupposti analoghi: nella condizione ordinaria la mente umana è formata da una serie di cristallizzazioni che producono diversi agglomerati di io distinti, che non possiedono una vera volontà. Questa condizione fa sì che l’uomo ordinario funzioni in una maniera paragonabile ad una macchina nella quale sono presenti automatismi e meccanismi che impediscono alla coscienza di accorgersi che in realtà il soggetto trascorre la vita in un sonno perenne. Questi stessi meccanismi automatici impediscono il risveglio spirituale. Cosa fare allora per svegliarsi? Innanzitutto diventare consapevoli di essere una macchina, accorgersi di essere immersi in un sonno e quindi cominciare a “ricordarsi di sé”: il ricordo di sé non è altro che la creazione di un testimone osservatore che dall’esterno comincia a diventare consapevole di ogni movimento della macchina. Questo testimone, nella costante azione di osservare sistematicamente cosa accade in questa “macchina”, si distanzierà progressivamente ed inesorabilmente dai contenuti osservati. In questa pratica, come del resto nella pratica alchemica descritta da Giammaria, lo sforzo di svegliarsi sarà esteso a tutta la giornata, in diverse occasioni. Il ricordo di sé si dispiegherà come costante osservatore silenzioso non-giudicante, in cui il testimone, che altro non è se non il Sé Immortale, è presente a sé, come osservatore distaccato, in uno stato di coscienza dalla personalità-mente. Il praticante si renderà conto di non essere i suoi pensieri e quindi di essere sostanzialmente qualcosa di diverso dall’oggetto osservato. Questa posizione osservativa darà inoltre la possibilità di diventare padroni del proprio destino, in quanto si potranno osservare con attenzione e maggiore consapevolezza i normali processi di causa che determinerebbero particolari effetti, nonché la risonanza di ciò che ordinariamente l’uomo addormentato attira a sé inconsciamente. Si tratta di una trasmutazione inesorabile, che andrà di pari passo con l’apertura del cuore; questo processo è paragonabile ad un costante e calmo fuoco alchemico, motore dell’Opera che condurrà alla realizzazione spirituale.
Nel nagualismo tolteco di Castaneda tutte le tecniche interiori sono finalizzate alla creazione di un testimone osservatore, il “veggente” ( seer). Viene fatto esplicito riferimento alla pratica del silenzio interiore, definito il “passo magico” più importante. Castaneda definisce il silenzio come un “fermare il dialogo interno”; è proprio il dialogo interno a sostenere e tenere in piedi le cristallizzazioni dell’ego, perpetuando l’attaccamento ai contenuti dei sensi fisici e ad una falsa identità. L’interruzione del dialogo interno provocherà lo “spostamento del punto di unione”, ossia determinerà un cambiamento di stato di coscienza, rendendo l’interiorità capace di percepire altre frequenze della realtà multidimensionale. Ma quale realtà multidimensionale più sconvolgente e sensazionale se non quella della scoperta dell’essere silenzioso, testimone osservatore, che si nasconde sotto le fitte nebbie del caos mentale? Solo la pratica sistematica del silenzio può far venire fuori questo veggente, testimone silenzioso, nagual-intento, principio individuale che, per sua natura, ha diretto collegamento con lo Spirito e quindi con l’universale.
Ma è la tecnica della ricapitolazione a far venire direttamente e sistematicamente fuori l’osservatore, il testimone, il “veggente”, analogamente alla retrospezione serale pitagorico-steineriana, ma a differenza di quest’ultima riferita non soltanto alla giornata trascorsa bensì all’intera esistenza. Il praticante passerà in rassegna ogni momento della sua esistenza, partendo dal presente per poi andare a ritroso nel tempo, ripercorrendo tutte le vicende, interazioni, pensieri, emozioni, e così via, fino ad arrivare all’infanzia. In questo modo emergerà la coscienza profonda-veggente che è stata testimone di tutte queste esperienze di vita e che quindi non è altro che quell’essenza immortale che, di vita in vita, si è alimentata di esperienze che ne hanno accresciuto la consapevolezza. Molte scuole esoteriche riconoscono che subito dopo la morte fisica la coscienza del defunto compie questa ricapitolazione della vita appena conclusa; il fatto di compiere questa ricapitolazione come atto magico quando ancora si è in vita ha una fondamentale importanza, perché in effetti anticipa lo sviluppo della coscienza in modo tale da favorire il mantenimento della stessa nella soglia tra vita e morte fisica, ossia passaggio dalla coscienza fisica cerebrale alla coscienza sottile liberata dai sensi e quindi senza più supporto cerebrale. In tutte le fasi ed esperienze della vita, infatti, viene sviluppata una coscienza profonda, un’essenza-succo che in effetti compone il nucleo-sintesi essenziale che si manterrebbe inalterato di vita in vita (nucleo che se l’Iniziato ha lavorato bene in vita, dovrebbe acquisire una certa continuità di coscienza)
Esiste un sistema antico che spiega nei dettagli il significato e la pratica dell’osservazione silenziosa: il pratyahara-Antar Mouna descritto da Patanjali negli yoga-sutra e descritto in maniera egregia e accessibile agli occidentali in una pubblicazione di un migliaio di pagine del Satyananda Ashram (attualmente non tradotta in italiano) “ A systematic course in the ancient tantric techniques of yoga and kriya” e che merita di essere trattata approfonditamente in questa sede.
E’ la pratica dell’Antar Mouna nel Pratyahara, stadio che precede il Dharana (concentrazione) e il Dhyana (la vera e propria meditazione), che spiega nei dettagli il processo dell’enucleazione del testimone interiore, pratica fondamentale per qualunque sistema di meditazione o via realizzativa si scelga di praticare. Con questo metodo dapprima si provvederà a isolare la coscienza dalle percezioni sensoriali, in un “controalimentarsi” da ciò che ordinariamente costituisce cibo per la mente (cibo di cui la mente non fa altro che fare indigestione!) e che fa sì che essa venga tenuta in un continuo stato di agitazione e di tensione verso l’esterno. Con questa “controalimentazione” diventerà possibile mantenere la percezione all’interno della mente, quindi cominciare a “staccare il pensiero dai sensi”, raggiungendo uno stato di coscienza che è una supercoscienza che va a sondare nel profondo diversi strati della mente senza tuttavia cadere nel sonno o nell’incoscienza, ma mantenendo la massima consapevolezza. Una volta che le impressioni sensoriali saranno escluse dalla coscienza, allora il praticante potrà procedere a trascendere gli stessi processi del pensiero cerebrale. Nella pratica di antar mouna il mantenimento della consapevolezza è premessa fondamentale: la coscienza verrà focalizzata sul testimone silenzioso, osservatore distaccato che non è coinvolto in nessuna esperienza, chiamato “Drashta”. Ma vediamo nei dettagli i 6 stadi della pratica dell’Antar Mouna.
1)    Nel primo stadio preliminare il praticante comincerà a focalizzarsi nel centro del proprio essere e separerà gradualmente questa coscienza dai contenuti esterni veicolati attraverso i sensi, inizialmente essendo consapevole di ogni suono, di ogni esperienza dei sensi. Il praticante dirà a se stesso “io sono l’osservatore e non sono condizionato da queste percezioni esterne” e rimarrà consapevole di ogni cosa, fino a raggiungere uno stato in cui è completamente distaccato dalle percezioni esterne, in particolar modo dai suoni, in modo che essi non influenzino la mente. Il mondo esterno continuerà la sua attività rumorosa mentre il meditante toglierà l’attenzione da esso per rivolgerla intensamente al suo interno.
2)    Nel secondo stadio ci si focalizzerà su questo signore interno che è punto di riferimento interiore stabile e costante. L’unico sentiero verso la vera meditazione è quello di non reprimere i pensieri ed emozioni ma di esaurirli attraverso una sistematica e scrupolosa osservazione consapevole! Questi pensieri, istinti ed emozioni sono aggregati, definiti “samskaras”, che fanno parte anche della mente inconscia. In genere gli ingenui e sprovveduti praticanti di concentrazione – come lo era chi scrive quando tanti anni fa era alle primissime armi- ignorano l’importanza di questo lavoro propedeutico (ma non soltanto propedeutico: andrebbe bensì portato avanti vita natural durante!) e si dedicano ad una sterile repressione dei pensieri, frutto di tensione cerebrale, che potrebbe sì produrre un’apparente concentrazione “niente male”, ma che intanto caccerà nel profondo dell’inconscio tutto il materiale represso, che si anniderà nei recessi oscuri come fantasmi che produrranno angoscia, depressione, infelicità, tensione.
In questo secondo stadio, quindi, il praticante, dopo aver dimenticato il mondo esterno attraverso la pratica del primo stadio, non si soffermerà su nessun pensiero, ma lascerà che i vari pensieri sorgano spontaneamente senza nessuna resistenza, restrizione o opposizione. Il praticante accetterà qualunque pensiero, semplicemente lo osserverà , senza interferire; sarà solo un testimone, un osservatore separato dai pensieri, istinti o emozioni. In questo modo il subconscio comincerà lentamente ad aprire le sue porte: tutti i pensieri ed emozioni intrappolate cominceranno a sorgere, quindi il praticante continuerà ad osservare imperterrito, come se i pensieri e le visioni fossero una televisione, ed egli lo spettatore. Bisogna fare attenzione a non perdere la consapevolezza durante questo processo osservativo, evento che del resto è lo stato ordinario dell’essere umano immerso nel sonno della mente fin dalla sua nascita. Bisogna continuare ad osservare senza sosta, lasciando che i pensieri vengano a galla come bolle, così che la mente possa cominciare ad essere purificata. Solo con questo modo potrà venire rimosso il velo che normalmente impedisce la conoscenza intuitiva.

3)    Nel terzo stadio, il praticante rimarrà sempre focalizzato sul testimone-osservatore silenzioso. Sceglierà intenzionalmente un pensiero, che può essere un ricordo, preferibilmente negativo, e non si lascerà distrarre da altri pensieri non direttamente collegati ad esso. Si creerà una catena di pensieri creati a volontà, collegati a catena l’uno con l’altro. Poi si potrà gettare via la catena così creata e crearne una nuova, scegliendo a volontà un altro pensiero. Questo processo sarà sempre guidato e diretto dal testimone-osservatore distaccato. Ad un certo punto si potrà fare una pausa e si tornerà a praticare l’osservazione, come nello stadio 2, lasciando emergere e fluire spontaneamente i vari pensieri. Sarà a questo punto che cominceranno ad emergere contenuti subconsci precedentemente repressi: i pensieri subconsci, radicati nella mente subconscia, che normalmente non emergerebbero ad un’iniziale osservazione spontanea, in quanto non direttamente accessibili alla coscienza, finalmente potranno essere sciolti dalla loro radice profonda, proprio attraverso questo metodo di scegliere un pensiero e determinare catene-sequenze associative nelle quali compariranno memorie e ricordi profondi apparentemente dimenticati.

4)    Nello stadio 4 il praticante, dopo aver raggiunto uno stato di profondo rilassamento fisico, consentirà, come testimone distaccato, una spontanea emersione dei pensieri, senza creare nessun pensiero in maniera intenzionale come avveniva nel precedente stadio. Se raggiungerà un sufficiente stato di rilassamento, pensieri profondi cominceranno ad essere liberati dal subconscio, magari in maniera “overflow” (quella che può essere descritta come “diarrea mentale”). Ma continuerà ad essere sempre consapevole testimone osservatore. Improvvisamente, potrebbe diventare consapevole di un pensiero che è più forte degli altri. Si concentrerà su di esso solo per un breve tempo senza identificarsi, e in seguito volutamente lo getterà via. Questo pensiero, non importa che sia piacevole o spiacevole, è considerabile come una proiezione delle dimensioni profonde della mente subconscia. Tale pensiero deve sorgere spontaneamente, ma poi dopo breve tempo deve essere cacciato via dalla mente in maniera intenzionale. Si andrà avanti con altri pensieri su cui soffermarsi per breve tempo , per poi gettarli via. Si alterneranno momenti di consapevolezza di pensieri spontanei e concentrazione /riflessione su pensieri specifici scelti che emergono dai pensieri che verranno a galla. L’importante è che il praticante rimanga distaccato testimone osservatore e che non si attacchi a nessuno di questi pensieri; rimarrà distaccato come un osservatore impassibile di un esperimento scientifico. In questo modo potranno venire a galla pensieri sottili e visioni sepolte nella mente subconscia.

5)    A questo punto della pratica si potrà raggiungere, nel quinto stadio, lo stato di silenzio interiore, quindi totale assenza di pensieri. E’ uno stato che, in virtù della pratica degli stadi precedenti, dovrebbe emergere spontaneamente. Se qualunque pensiero sorgesse, bisognerebbe escluderlo, rifiutarlo, anche se si trattasse di semplici immagini o visioni. Nessun pensiero, nessuna visione. E andrà mantenuto uno stato di costante vigilanza che non cada mai nel sonno.

6)    Finalmente si può raggiungere il sesto stadio, che culmina nel Dharana, la concentrazione su un simbolo interiore psichico. Il praticante si focalizzerà su un simbolo, escludendo ogni altro pensiero. Questo simbolo rimarrà sempre vivido, e sarà riproposto sempre nuovamente alla coscienza qualora dovesse perdere intensità.


7)    Infine…un costante flusso di consapevolezza mantenuto verso questo simbolo, farà sì che la semplice concentrazione si trasformerà in vera e propria meditazione: il Dhyana.

domenica 24 novembre 2013

portali

In questa fase della mia esistenza sento allentarsi i miei legami con il mondo ordinario, perché il contatto raggiunto con altri piani di esistenza si è fatto così strada nella mia interiorità al punto che ne sento incessantemente il richiamo. Un profondo anelito nostalgico mi attraversa l’anima mentre il ricordo della Casa da cui provengo si fa sempre più chiaro.

Che stretta fessura c’è tra questo mondo e l’altro! E’ il cambiamento dello stato di coscienza che determina se si percepisce l’uno o l’altro. Eppure questa stessa fessura è nel contempo un abisso. Nell’altro mondo la vibrazione è così diversa, intensa, che dal punto di vista della coscienza ordinaria ancorata ai sensi esso pare un mondo così lontano, separato da qualcosa come un tunnel dimensionale. Per percepirlo ci vogliono sensi completamente diversi da quelli fisici. Per entrare in esso, invece, ci vogliono vere e proprie porte, portali quindi.

giovedì 22 agosto 2013

Consapevolezza.
Si crede di essere svegli e consapevoli, lucidi e in pieno possesso della volontà, ma è un'illusione. La vera consapevolezza è la presenza del silenzioso testimone osservatore che prende le radici dal sè autentico e che si distingue dalle nebbie del caos mentale. E' il silenzioso spazio tra un pensiero e il successivo. E' una silenziosa presenza che tutto osserva senza giudicare, senza commentare, che semplicemente è, in distacco e distanza da tutto. E' immutabile. Fonte di energia e di intuizioni. E' ponte diretto con la coscienza universale, è coscienza universale fatta uomo-individuo. Risiede nel cuore.

Questa consapevolezza-testimone osservatore va prima trovata, scavando nel profondo della mente, attraversandone gli strati più reconditi, fino a trovare il nucleo essenziale. Questo si fa attraverso le pratiche meditative. Ma infine, una volta enucleata, va costantemente richiamata in qualunque momento della vita ordinaria. Ed è questo il compito più difficile: un esercizio da svolgere costantemente, in costante ed instancabile ricordo di sè.

martedì 23 luglio 2013

viaggiare

Si viaggia in giro per il mondo, si osservano culture, tradizioni e usanze diverse, ma ciò che alla fine dà senso e significato alle cose è la propria coscienza, ciò che ci portiamo dentro. Il mondo esterno acquista consistenza a partire dalla propria interiorità più profonda. Tutto è dentro di noi, non occorre andare lontano per conoscere ciò che esiste. Bisogna solo scavare nello spazio tra un pensiero ed un altro.
Dentro di sè c'è il mondo intero, l'universo. Ciò che conta realmente è la costante presenza a se stessi, non importa dove si va e cosa si fa. La presenza a se stessi è il costante e silenzioso testimone osservatore, distaccato da tutto, la propria essenza più profonda.


Perché ti meravigli tanto se viaggiando ti sei annoiato? Portandoti dietro te stesso hai finito col viaggiare proprio con quell'individuo dal quale volevi fuggire.

Socrate

lunedì 15 aprile 2013

Un nucleo di coscienza divina, presente costantemente anche quando viene occasionalmente sepolto dalle nubi. E' un occhio divino che mi porta ad essere distaccata da tutto perchè è uno sguardo superiore che tutto vede e tutto conosce. Armonie superiori risuonano in una calma lucidità di una coscienza espansa che è in stretto contatto con le potenze spirituali che reggono tutto ciò che esiste.
Il cammino spirituale lo si fa in ogni attimo della vita, non solo nella pratica quotidiana. Bisogna sempre essere svegli, per non farsi travolgere dalle forze ostacolatrici.

lunedì 11 marzo 2013

"Finalmente ho raggiunto il MIO traguardo e risolto il segreto della mia anima: Io sono QUELLO a cui rivolgevo le preghiere, QUELLO a cui chiedevo aiuto. Sono quello che ho cercato. Sono la stessa vetta della MIA montagna. Guardo la creazione come una pagina del Mio stesso libro. Sono infatti l'UNICO che produce i molti, della stessa sostanza che prendo da ME. Poichè TUTTO è ME, non vi sono due, la creazione è ME STESSO, dappertutto. Quello che concedo a ME stesso lo prendo da ME stesso e lo dò a ME stesso, l'UNICO, poichè sono il Padre e il Figlio. Quanto a quello che voglio, non vedo altro che i MIEI desideri, che sgorgano da ME. Sono infatti il conoscitore, il conosciuto, il soggetto, il governante e il trono. Tre in UNO è quello che sono, e l'inferno è solo un argine che ho messo al MIO stesso fiume, allorchè sognavo durante un incubo. Sognai che non ero il SOLO unico e così IO stesso iniziai il dubbio che fece il suo corso, finchè non mi svegliai. Trovai così che io avevo scherzato con me stesso. Ora che sono sveglio, riprendo di sicuro il MIO trono e governo il MIO regno che è ME stesso, il signore per l'eternità"
(antico testo egizio intagliato sulla porta d'accesso di un sacro sito)

sabato 2 marzo 2013

La coscienza. Dio. Dov'è Dio se non nella propria coscienza più profonda? Non c'è dentro, fuori, non c'è spazio, tempo, è tutto contenuto nella propria interiorità. Provate ad immergervi nel profondo silenzio, distaccandovi dalla vostra situazione contingente, dalla vostra stessa mente. Cosa rimane? Colui che osserva. L'osservatore che osserva l'osservato. E poi un altro misterioso osservatore che, a sua volta, osserva l'osservatore. Quel misterioso osservatore è Dio. Dio in sè. Dio nell'uomo, coscienza suprema, il tutto nel tutto. Non c'è niente da cercare fuori da sè. Non c'è nessun viaggio da fare fuori da sè. Bisogna solo scavare, trovare in sè quel diamante profondo dove c'è tutto. Tutto e per sempre.

lunedì 28 gennaio 2013

Quando i blocchi di dolore, 
di dispiacere, rabbia e disperazione 
si fanno più forti e più grossi, 
premono per salire nella coscienza mentale, 
nel soggiorno a reclamare la nostra attenzione. 
Essi desiderano emergere, 
ma noi non li vogliamo, 
perchè ci fanno stare male solo a vederli.
Non avendo nessuna voglia di affrontarli, 
usiamo riempire il soggiorno con altri ospiti: 
prendiamo in mano un libro, accendiamo la tv,
andiamo a fare un giro in macchina...
qualunque cosa pur di tenere occupato il soggiorno.
Abbracciare il tuo dolore
e il tuo dispiacere con l'energia
della presenza mentale è esattamente
come massaggiare la coscienza invece che il corpo.
Quando togli l'imbargo
e i blocchi di dolore affiorano ti tocca soffrire,
almeno un po', non c'è modo di evitarlo.
Occorre imparare ad abbracciare questo dolore.
Dopo che avrai abbracciato per qualche tempo i tuoi dolori,
essi torneranno in cantina e si ritrasformeranno in semi.
Se invitiamo il seme della paura
ad uscire allo scoperto,
siamo anche meglio equipaggiati
per prenderci cura della rabbia. 

E' la paura a generare la rabbia: 
quando hai paura non sei in pace 
e questo tuo stato diventa il terreno 
dove la rabbia può crescere.
La paura si fonda sull'ignoranza, 
mancanza di chiara comprensione.
Immergi quotidianamente la tua rabbia, 
la tua disperazione, la tua paura 
in un bagno di presenza mentale: 
la pratica di invitare i semi ogni giorno 
per abbraccaiarli è molto salutare.
Dopo svariati giorni o settimane 
di questa pratica, avrai generato 
una buona circolazione nella tua psiche. 
La presenza mentale lavora 
come un massaggio delle formazioni interne, 
dei tuoi blocchi di sofferenza. 
Questi devono poter circolare liberamente, 
dentro di te, possono farlo soltanto se non ne hai paura. 
Se impari a non avere paura 
dei tuoi nodi di sofferenza, 
puoi imparare anche ad abbracciarli 
con l'energia della consapevolezza e a trasformarli."
(Thich Nhat Hanh) 

martedì 22 gennaio 2013

Cosa c'è di più importante della coscienza?
Consapevolezza, presenza a se stessi, quel nucleo immortale che osserva tutto da fuori, senza essere coinvolto, sempre presente, sempre identico a se stesso. Questa è la sorgente della forza in ogni momento dell'esistenza. Nessun fenomeno esterno può turbare questa coscienza profonda che deve diventare la radice e la base di ogni praticante spirituale. Potrebbe accadere di dimenticare per attimi o giorni questa presenza, ma le, spesso dolorose, esperienze di vita di un ricercatore sincero lo condurrano sempre a questa fiamma originaria. Quella coscienza è la base del salto evolutivo che consente ad un essere umano di fare un salto nella scala evolutiva, ascendendo prima o poi al rango degli angeli.

domenica 6 gennaio 2013

E' come se per alcuni attimi-ore o giorni che siano- avessi preso su di me tutte le sofferenze degli esseri. Le vicende della vita umana, il succedersi delle vite tra nascita, morte, vecchiaia, l'alternarsi di dolori, abbandoni, menzogne, separazioni, caos.
Quante vite, sempre gli stessi schemi, finchè non arriva il risveglio. Come se ci risvegliasse da un lungo sogno. E' un teatro, il teatro della vita e dietro le quinte c'è il vuoto infinito.
E' tutto illusorio. Esiste un'oasi nella propria coscienza dove si è invulnerabili a tutto e dove si può trovare reale rifugio.

Morte

Dalle tenebre dell'inconscio, reciso ogni attaccamento, è sorta una coscienza, coscienza-sorriso, coscienza ridente, che è al di sopra di tutto. Avere la possibilità di guardare le esperienze della propria vita con lo stesso sguardo con cui la propria parte immortale ripercorre il ricordo della propria vita al momento della morte fisica, ecco avere la possibilità di fare ciò quando si è ancora nel corpo, conduce ad un ampliamento di stato di coscienza, è come se cambiasse la prospettiva. La stessa prospettiva di una coscienza infinita, che racchiude tutto. Mi sono sentita espandere e ho cercato di trattenere questo stato. E' stato come morire, morire ancora in vita per poi rinascere senza forma. La mia natura superiore, profonda e autentica ha potuto schiacciare l'ombra che è la falsa apparenza della personalità. Ha trionfato. Da questa prospettiva di coscienza universale, ciò che veramente ha valore è l'amore al di sopra di ogni attaccamento, la capacità di perdonare, la capacità di essere liberi e lasciare liberi. La capacità di sussistere senza aggrapparsi a niente e a nessuno, senza nessuna certezza, senza nessun supporto. Aggrapparsi soltanto all'essere , alla coscienza, null'altro ha importanza. Ho fissato questo stato, per non abbandonarlo più. E' una via senza ritorno.

mercoledì 12 dicembre 2012

Mi sento come un viaggiatore su questo pianeta, distaccato da tutto ciò che vedo e da tutti i contesti in cui mi trovo, come se provenissi da un altro pianeta lontano. Però da questo viaggio imparo molto e quando tornerò da dove sono venuta, sarò arricchita e cambiata.

Facciamo un'esperienza temporanea in questo mondo fisico, entrando in un corpo che per tutta la durata della vita sarà uno strumento, ma in realtà siamo anime-coscienze che provengono dai mondi spirituali e lì ritorneranno quando il viaggio nella materialità sarà terminato.

Queste verità risuonano sempre più in me, quando mi sveglio la mattina percepisco chiaramente che la mia coscienza ritorna ad alloggiare nel corpo.
Questa consapevolezza mi genera un senso di profonda libertà.

sabato 8 dicembre 2012

Essere un nucleo di coscienza che si desta completamente nuovo, senza nome, senza forma, senza storia.
Una coscienza che può creare infinite possibilità senza limiti. Bisogna agire proprio partendo da questo nucleo per poter realizzare qualunque possibilità.
Questo nucleo di volontà profonda è in stretto contatto con le leggi cosmiche, con Dio....anzi, è Dio stesso, che si manifesta nell'essere umano. Non ci sono limiti a questa volontà, purchè si sia capaci di farla agire oltre la propria identificazione.