L'OSSERVAZIONE SILENZIOSA
DEI PENSIERI: IL TESTIMONE SILENZIOSO, VEGGENTE, IL SE’ .
Aspetti
occulti della concentrazione
In
definitiva in tutte le tradizioni esoteriche le tecniche di meditazione hanno
come intento comune la formazione di un centro osservatore silenzioso,
distanziato dai contenuti mentali. Questo centro osservatore ha per sua essenza
una natura diversa dalla mente ordinaria, di per sé la trascende. Negli
esercizi meditativi antroposofici, descritti da Steiner e in seguito, in
maniera più dettagliata, da Massimo Scaligero, l’esercizio di concentrazione
sul simbolo richiama la forza originaria del pensiero per poi liberarlo dall’influenza
dei sensi. In seguito all’esercizio di concentrazione, l’oggetto-simbolo viene
eliminato per lasciare spazio al silenzio interiore, parte fondamentale ed
essenziale dell’intera pratica. Ma è nel prezioso esercizio della “retrospezione
serale” descritto da Steiner(esercizio di matrice pitagorica, cfr “I Versi
Aurei”) che verrà enucleato in maniera sistematica l’osservatore: il praticante
passa in rassegna tutti gli eventi della
giornata trascorsa, come se fossero stati vissuti da un’altra persona. In
questo modo si comincia ad attivare proprio l’enucleazione di un principio
osservatore, che si distanzierà progressivamente da contenuti mentali che
consistono in cristallizzazioni comprendenti non solo pensieri bensì emozioni
ed istinti, spesso in un caotico marasma. L’osservazione distaccata di tali
contenuti porterà il praticante in contatto con il proprio Sé profondo.
Il concetto
dell’osservatore-testimone silenzioso ritorna ampiamente nella pratica
alchemica che Giammaria indica come fondamentale “officium quotidiano” da
svolgere in ogni momento della propria esistenza: il praticante innanzitutto
individuerà ed enucleerà un principio cosciente extrapersonale, definito “Nume”
e, a tal scopo, gli assegnerà un nome per dargli una definizione ed
identificazione. A questo punto, tramite un lavoro costante, il centro di
gravità dell’individuo si sposterà progressivamente nel Nume, che per sua
definizione è caratterizzato da una natura impersonale eppure contenuta nel
personale; esso è principio altro e distinto rispetto alla mente, la quale è
ordinariamente espressione dell’identità biografica individuale. Il Nume si
ergerà progressivamente come testimone silenzioso, distaccato dagli eventi che
riguardano la personalità ordinaria, eppure sempre silenziosamente presente e
partecipante alla vita. Inizialmente il centro interiore noumenico non sarà
saldo e non riuscirà ad essere costantemente presente, ma attraverso l’esercizio
e la pratica costante, che verrà estesa ad ogni momento della giornata, questa
centralità osservatrice si rafforzerà sempre di più; in certi momenti occorrerà
richiamarla intenzionalmente in modo che sia il più possibile presente durante
le attività quotidiane, ma in seguito essa diventerà presenza costante.
La quarta
via di Gurdjieff si basa su presupposti analoghi: nella condizione ordinaria la
mente umana è formata da una serie di cristallizzazioni che producono diversi
agglomerati di io distinti, che non possiedono una vera volontà. Questa
condizione fa sì che l’uomo ordinario funzioni in una maniera paragonabile ad
una macchina nella quale sono presenti automatismi e meccanismi che impediscono
alla coscienza di accorgersi che in realtà il soggetto trascorre la vita in un
sonno perenne. Questi stessi meccanismi automatici impediscono il risveglio
spirituale. Cosa fare allora per svegliarsi? Innanzitutto diventare consapevoli
di essere una macchina, accorgersi di essere immersi in un sonno e quindi
cominciare a “ricordarsi di sé”: il ricordo di sé non è altro che la creazione
di un testimone osservatore che dall’esterno comincia a diventare consapevole
di ogni movimento della macchina. Questo testimone, nella costante azione di
osservare sistematicamente cosa accade in questa “macchina”, si distanzierà progressivamente
ed inesorabilmente dai contenuti osservati. In questa pratica, come del resto
nella pratica alchemica descritta da Giammaria, lo sforzo di svegliarsi sarà
esteso a tutta la giornata, in diverse occasioni. Il ricordo di sé si
dispiegherà come costante osservatore silenzioso non-giudicante, in cui il
testimone, che altro non è se non il Sé Immortale, è presente a sé, come
osservatore distaccato, in uno stato di coscienza dalla personalità-mente. Il
praticante si renderà conto di non essere i suoi pensieri e quindi di essere
sostanzialmente qualcosa di diverso dall’oggetto osservato. Questa posizione
osservativa darà inoltre la possibilità di diventare padroni del proprio
destino, in quanto si potranno osservare con attenzione e maggiore
consapevolezza i normali processi di causa che determinerebbero particolari
effetti, nonché la risonanza di ciò che ordinariamente l’uomo addormentato
attira a sé inconsciamente. Si tratta di una trasmutazione inesorabile, che
andrà di pari passo con l’apertura del cuore; questo processo è paragonabile ad
un costante e calmo fuoco alchemico, motore dell’Opera che condurrà alla
realizzazione spirituale.
Nel
nagualismo tolteco di Castaneda tutte le tecniche interiori sono finalizzate
alla creazione di un testimone osservatore, il “veggente” ( seer). Viene fatto
esplicito riferimento alla pratica del silenzio interiore, definito il “passo
magico” più importante. Castaneda definisce il silenzio come un “fermare il
dialogo interno”; è proprio il dialogo interno a sostenere e tenere in piedi le
cristallizzazioni dell’ego, perpetuando l’attaccamento ai contenuti dei sensi
fisici e ad una falsa identità. L’interruzione del dialogo interno provocherà
lo “spostamento del punto di unione”, ossia determinerà un cambiamento di stato
di coscienza, rendendo l’interiorità capace di percepire altre frequenze della
realtà multidimensionale. Ma quale realtà multidimensionale più sconvolgente e
sensazionale se non quella della scoperta dell’essere silenzioso, testimone
osservatore, che si nasconde sotto le fitte nebbie del caos mentale? Solo la
pratica sistematica del silenzio può far venire fuori questo veggente,
testimone silenzioso, nagual-intento, principio individuale che, per sua
natura, ha diretto collegamento con lo Spirito e quindi con l’universale.
Ma è la tecnica della ricapitolazione a far venire direttamente e
sistematicamente fuori l’osservatore, il testimone, il “veggente”, analogamente
alla retrospezione serale pitagorico-steineriana, ma a differenza di quest’ultima
riferita non soltanto alla giornata trascorsa bensì all’intera esistenza. Il
praticante passerà in rassegna ogni momento della sua esistenza, partendo dal
presente per poi andare a ritroso nel tempo, ripercorrendo tutte le vicende,
interazioni, pensieri, emozioni, e così via, fino ad arrivare all’infanzia. In
questo modo emergerà la coscienza profonda-veggente che è stata testimone di
tutte queste esperienze di vita e che quindi non è altro che quell’essenza
immortale che, di vita in vita, si è alimentata di esperienze che ne hanno
accresciuto la consapevolezza. Molte scuole esoteriche riconoscono che subito
dopo la morte fisica la coscienza del defunto compie questa ricapitolazione della
vita appena conclusa; il fatto di compiere questa ricapitolazione come atto
magico quando ancora si è in vita ha una fondamentale importanza, perché in
effetti anticipa lo sviluppo della coscienza in modo tale da favorire il mantenimento
della stessa nella soglia tra vita e morte fisica, ossia passaggio dalla
coscienza fisica cerebrale alla coscienza sottile liberata dai sensi e quindi
senza più supporto cerebrale. In tutte le fasi ed esperienze della vita, infatti,
viene sviluppata una coscienza profonda, un’essenza-succo che in effetti
compone il nucleo-sintesi essenziale che si manterrebbe inalterato di vita in
vita (nucleo che se l’Iniziato ha lavorato bene in vita, dovrebbe acquisire una
certa continuità di coscienza)
Esiste un
sistema antico che spiega nei dettagli il significato e la pratica dell’osservazione
silenziosa: il pratyahara-Antar Mouna descritto da Patanjali negli yoga-sutra e
descritto in maniera egregia e accessibile agli occidentali in una
pubblicazione di un migliaio di pagine del Satyananda Ashram (attualmente non
tradotta in italiano) “ A systematic course in the ancient tantric techniques
of yoga and kriya” e che merita di essere trattata approfonditamente in questa
sede.
E’ la pratica dell’Antar Mouna nel Pratyahara, stadio che precede il Dharana
(concentrazione) e il Dhyana (la vera e propria meditazione), che spiega nei
dettagli il processo dell’enucleazione del testimone interiore, pratica
fondamentale per qualunque sistema di meditazione o via realizzativa si scelga
di praticare. Con questo metodo dapprima si provvederà a isolare la coscienza
dalle percezioni sensoriali, in un “controalimentarsi” da ciò che
ordinariamente costituisce cibo per la mente (cibo di cui la mente non fa altro
che fare indigestione!) e che fa sì che essa venga tenuta in un continuo stato
di agitazione e di tensione verso l’esterno. Con questa “controalimentazione”
diventerà possibile mantenere la percezione all’interno della mente, quindi
cominciare a “staccare il pensiero dai sensi”, raggiungendo uno stato di
coscienza che è una supercoscienza che va a sondare nel profondo diversi strati
della mente senza tuttavia cadere nel sonno o nell’incoscienza, ma mantenendo
la massima consapevolezza. Una volta che le impressioni sensoriali saranno
escluse dalla coscienza, allora il praticante potrà procedere a trascendere gli
stessi processi del pensiero cerebrale. Nella pratica di antar mouna il
mantenimento della consapevolezza è premessa fondamentale: la coscienza verrà
focalizzata sul testimone silenzioso, osservatore distaccato che non è
coinvolto in nessuna esperienza, chiamato “Drashta”. Ma vediamo nei dettagli i
6 stadi della pratica dell’Antar Mouna.
1) Nel primo stadio preliminare il
praticante comincerà a focalizzarsi nel centro del proprio essere e separerà
gradualmente questa coscienza dai contenuti esterni veicolati attraverso i
sensi, inizialmente essendo consapevole di ogni suono, di ogni esperienza dei
sensi. Il praticante dirà a se stesso “io sono l’osservatore e non sono
condizionato da queste percezioni esterne” e rimarrà consapevole di ogni cosa,
fino a raggiungere uno stato in cui è completamente distaccato dalle percezioni
esterne, in particolar modo dai suoni, in modo che essi non influenzino la
mente. Il mondo esterno continuerà la sua attività rumorosa mentre il meditante
toglierà l’attenzione da esso per rivolgerla intensamente al suo interno.
2) Nel secondo stadio ci si focalizzerà
su questo signore interno che è punto di riferimento interiore stabile e
costante. L’unico sentiero verso la vera meditazione è quello di non reprimere
i pensieri ed emozioni ma di esaurirli attraverso una sistematica e scrupolosa
osservazione consapevole! Questi pensieri, istinti ed emozioni sono aggregati,
definiti “samskaras”, che fanno parte anche della mente inconscia. In genere gli
ingenui e sprovveduti praticanti di concentrazione – come lo era chi scrive
quando tanti anni fa era alle primissime armi- ignorano l’importanza di questo
lavoro propedeutico (ma non soltanto propedeutico: andrebbe bensì portato
avanti vita natural durante!) e si dedicano ad una sterile repressione dei
pensieri, frutto di tensione cerebrale, che potrebbe sì produrre un’apparente concentrazione
“niente male”, ma che intanto caccerà nel profondo dell’inconscio tutto il
materiale represso, che si anniderà nei recessi oscuri come fantasmi che
produrranno angoscia, depressione, infelicità, tensione.
In questo secondo stadio, quindi, il praticante, dopo aver dimenticato il
mondo esterno attraverso la pratica del primo stadio, non si soffermerà su
nessun pensiero, ma lascerà che i vari pensieri sorgano spontaneamente senza
nessuna resistenza, restrizione o opposizione. Il praticante accetterà
qualunque pensiero, semplicemente lo osserverà , senza interferire; sarà solo
un testimone, un osservatore separato dai pensieri, istinti o emozioni. In
questo modo il subconscio comincerà lentamente ad aprire le sue porte: tutti i
pensieri ed emozioni intrappolate cominceranno a sorgere, quindi il praticante
continuerà ad osservare imperterrito, come se i pensieri e le visioni fossero
una televisione, ed egli lo spettatore. Bisogna fare attenzione a non perdere
la consapevolezza durante questo processo osservativo, evento che del resto è
lo stato ordinario dell’essere umano immerso nel sonno della mente fin dalla
sua nascita. Bisogna continuare ad osservare senza sosta, lasciando che i
pensieri vengano a galla come bolle, così che la mente possa cominciare ad
essere purificata. Solo con questo modo potrà venire rimosso il velo che
normalmente impedisce la conoscenza intuitiva.
3) Nel terzo stadio, il praticante
rimarrà sempre focalizzato sul testimone-osservatore silenzioso. Sceglierà
intenzionalmente un pensiero, che può essere un ricordo, preferibilmente
negativo, e non si lascerà distrarre da altri pensieri non direttamente collegati
ad esso. Si creerà una catena di pensieri creati a volontà, collegati a catena
l’uno con l’altro. Poi si potrà gettare via la catena così creata e crearne una
nuova, scegliendo a volontà un altro pensiero. Questo processo sarà sempre
guidato e diretto dal testimone-osservatore distaccato. Ad un certo punto si
potrà fare una pausa e si tornerà a praticare l’osservazione, come nello stadio
2, lasciando emergere e fluire spontaneamente i vari pensieri. Sarà a questo
punto che cominceranno ad emergere contenuti subconsci precedentemente
repressi: i pensieri subconsci, radicati nella mente subconscia, che
normalmente non emergerebbero ad un’iniziale osservazione spontanea, in quanto
non direttamente accessibili alla coscienza, finalmente potranno essere sciolti
dalla loro radice profonda, proprio attraverso questo metodo di scegliere un
pensiero e determinare catene-sequenze associative nelle quali compariranno
memorie e ricordi profondi apparentemente dimenticati.
4) Nello stadio 4 il praticante, dopo
aver raggiunto uno stato di profondo rilassamento fisico, consentirà, come
testimone distaccato, una spontanea emersione dei pensieri, senza creare nessun
pensiero in maniera intenzionale come avveniva nel precedente stadio. Se
raggiungerà un sufficiente stato di rilassamento, pensieri profondi
cominceranno ad essere liberati dal subconscio, magari in maniera “overflow”
(quella che può essere descritta come “diarrea mentale”). Ma continuerà ad
essere sempre consapevole testimone osservatore. Improvvisamente, potrebbe
diventare consapevole di un pensiero che è più forte degli altri. Si
concentrerà su di esso solo per un breve tempo senza identificarsi, e in
seguito volutamente lo getterà via. Questo pensiero, non importa che sia
piacevole o spiacevole, è considerabile come una proiezione delle dimensioni profonde
della mente subconscia. Tale pensiero deve sorgere spontaneamente, ma poi dopo
breve tempo deve essere cacciato via dalla mente in maniera intenzionale. Si
andrà avanti con altri pensieri su cui soffermarsi per breve tempo , per poi
gettarli via. Si alterneranno momenti di consapevolezza di pensieri spontanei e
concentrazione /riflessione su pensieri specifici scelti che emergono dai
pensieri che verranno a galla. L’importante è che il praticante rimanga
distaccato testimone osservatore e che non si attacchi a nessuno di questi pensieri;
rimarrà distaccato come un osservatore impassibile di un esperimento
scientifico. In questo modo potranno venire a galla pensieri sottili e visioni
sepolte nella mente subconscia.
5) A questo punto della pratica si potrà
raggiungere, nel quinto stadio, lo stato di silenzio interiore, quindi totale
assenza di pensieri. E’ uno stato che, in virtù della pratica degli stadi
precedenti, dovrebbe emergere spontaneamente. Se qualunque pensiero sorgesse,
bisognerebbe escluderlo, rifiutarlo, anche se si trattasse di semplici immagini
o visioni. Nessun pensiero, nessuna visione. E andrà mantenuto uno stato di
costante vigilanza che non cada mai nel sonno.
6) Finalmente si può raggiungere il
sesto stadio, che culmina nel Dharana, la concentrazione su un simbolo
interiore psichico. Il praticante si focalizzerà su un simbolo, escludendo
ogni altro pensiero. Questo simbolo rimarrà sempre vivido, e sarà riproposto
sempre nuovamente alla coscienza qualora dovesse perdere intensità.
7) Infine…un costante flusso di
consapevolezza mantenuto verso questo simbolo, farà sì che la semplice
concentrazione si trasformerà in vera e propria meditazione: il Dhyana.